Parkinson: un aiuto dall’idrokinesiterapia (dal blog di Oltre il Parkinson - Parkinsonotes.altervista del 9/1/2017)

Fare idrokinesiterapia significa utilizzare gli strumenti fisici e relazionali che l’ambiente acquatico offre per impostare un corretto percorso riabilitativo in acqua. Quando si tratta di un progetto riabilitativo che riguarda pazienti con deficit neurologici, oltre a porre attenzione agli esercizi da proporre, l’idrokinesiterapista deve fare un’attenta valutazione del grado di acquaticità del paziente, tenendo conto che spesso chi aveva dimestichezza con l’ambiente acquatico prima della malattia mantiene questa caratteristica, mentre chi non l’aveva purtroppo incontrerà maggiore difficoltà.

L’adattamento, l’ambientamento e l’acquaticità assumono un’elevata importanza nel percorso idrokinesiterapico del paziente neurologico e si evolvono e progrediscono durante l’iter riabilitativo. Uno dei compiti fondamentali dell’idrokinesiterapista è monitorarli continuamente e confrontarli con  esercizi programmati in base alle attitudini del paziente.

In acqua gli esiti della patologia si modificano grazie alle caratteristiche dell’acqua in cui è immerso il paziente. L’acqua permette di sfruttare le variazioni dello status funzionale del paziente: ad esempio ci sarà una diminuzione dell’ipertono per effetto dell’acqua calda, il paziente avrà la possibilità di stare in piedi grazie alla spinta di galleggiamento e di lavorare in maggiore sicurezza evitando il rischio di cadute e perdite di equilibrio. Gli esiti della malattia vengono perciò diminuiti o annullati  diventando risorse positive.

L’idrokinesiterapia è un approccio riabilitativo estremamente flessibile perché stare immersi in acqua apporta molteplici stimoli a livello emotivo e relazionale e consente una serie di sequenze riabilitative molteplici e infinitamente adattabili.

Il paziente affetto da Parkinson, viene coinvolto dall’ambiente in cui è immerso: la sua capacità percettiva viene costantemente stimolata, basti pensare alla spinta idrostatica e alla galleggiabilità ed il calore (la temperatura dell’acqua deve essere di circa 33°C) che apportano maggiori stimoli al cervello.

La diversa percezione del corpo in immersione sposta l’attenzione del paziente dal peso alla forma, facendogli percepisce il proprio corpo come più leggero muovendosi con minore sforzo.

E’ noto che il paziente parkinsoniano è dotato di una motricità ridotta, ma l’ambiente acquatico, grazie ai continui input lo conduce ad una diversa percezione del proprio corpo nello spazio, rendendolo cosciente di riuscire di eseguire in modo più semplice e con minor sforzo qualunque movimento o qualsiasi attività rispetto alla terraferma. Gli esercizi eseguiti in ambiente acquatico con il supporto della lentezza, causata dalla maggiore resistenza del movimento in acqua, rivestono un ruolo importante nel contenimento del tremore e della rigidità. Le tecniche di rilassamento e di presa di coscienza della posizione permettono al paziente di riconoscere la propria postura, condizione necessaria per prevenire e correggere deficit posturali.

La bradicinesia viene superata dal processo decisionale perché il paziente in acqua è costretto ad adattarsi immediatamente ai nuovi stimoli così diversi da quelli terrestri.

Infine il passaggio dalla terra all’acqua agisce sull’equilibrio: in acqua viene a mancare la stabilità terrestre e il paziente perde i riferimenti gravitazionali per adeguarsi a quelli acquatici rieducando l’equilibrio e la postura. L’obiettivo iniziale è quello di favorire e supportare il paziente durante il processo di adattamento, facendogli comprendere e definire la diversità degli stimoli, successivamente si può proseguire poi con obiettivi più specifici come l’attenuazione delle acinesie, la prevenzione dei vizi posturali, il miglioramento nell’esecuzione dei movimenti, la riduzione del tremore, il miglioramento dell’equilibrio e della coordinazione, il mantenimento dell’articolarità e del tono muscolare.

Tra le varie proposte riabilitative, assumono importanza:

– la presa di coscienza corporea, con esercizi di ambientamento e rilassamento, che permettono di ottenere un’iniziale riduzione del tremore e l’apertura dei canali recettivi stimolati dall’acqua. (L’operatore aiuta il paziente a distinguere e “sentire” i movimenti.)

– esercizi di respirazione, per preservare l’attività respiratoria che tende a ridursi a causa dell’atteggiamento del tronco in flessione. (Questi esercizi favoriscono il rilassamento specialmente nelle fasi iniziali della seduta e di recupero alla fine dell’esercizio.)

– esercizi di mobilizzazione attiva dei distretti articolari, a cui si aggiungerà la combinazione di movimenti stimolando la libera iniziativa e guidando la coordinazione.

– esercizi di allungamento degli arti e del tronco.

– esercizi di coordinazione ed equilibrio, sollecitato dall’uso di tavolette o di palle tenute con le due mani. (La tavoletta è un ottimo attrezzo per riattivare le afferenze tibio-tarsiche: messa sotto i piedi richiede un notevole controllo propriocettivo.)

– esercizi con la palla, affinché la coordinazione invoglino il paziente a compiere movimenti più rapidi e gratificanti. La palla può inoltre essere di aiuto ad una debole azione muscolare o diventare resistenza per il lavoro sul tono: diviene elemento di mobilizzazione quando, ad esempio, la si fa passare da una mano all’altra o la si passa dietro la testa spezzando l’atteggiamento “chiuso” del paziente.

– esercizi di correzione della deambulazione. Durante il cammino l’operatore richiede il movimento pendolare delle braccia, automatismo solitamente perso, alternato ai cambi di direzione di marcia repentini.

– esercizi con attrezzi: palle, bastoni, per migliorare l’articolarità e per contrastare la bradicinesia.

– posizionamento in galleggiamento che richiede tempo e pazienza. Sono momenti intensi che favoriscono la padronanza del proprio corpo e la distensione sia fisica, che mentale.

– esercizi di orientamento nello spazio che possono essere eseguiti ad occhi aperti o chiusi, programmando o meno una meta da raggiungere. Si possono realizzare percorsi che costringono il paziente a ritmi di cammino adatti agli spostamenti da effettuare, esortando la reazione allo stimolo.

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