Parkinson, i sintomi precoci da tenere d'occhio (da Famiglia Cristiana.it del 25.10.2016)

La ricerca presto potrebbe fornire gli strumenti per intervenire tempestivamente prima che il tremore, la rigidità e la lentezza del movimento siano diventati evidenti. Come si cura al momento

(di  Katia Del Savio)

Non si sa ancora che cosa causa la malattia di Parkinson. In compenso, la ricerca di recente ha capito che il processo degenerativo delle cellule cerebrali inizia molti anni prima della comparsa dei tipici sintomi motori che la caratterizzano. «La sfida è elaborare algoritmi di probabilità dello sviluppo della patologia in modo da individuare i futuri malati prima che i sintomi motori si manifestino per poter avviare opportune strategie di prevenzione», spiega Leonardo Lopiano, direttore della Struttura complessa neurologia dell’Aou Città della salute della scienza di Torino. «Gli studi si sono concentrati nell’individuazione dei cosiddetti biomarker, molecole indicative rilevabili attraverso esami del sangue, del liquor (liquido cerebro-spinale), della saliva, in grado di dirci se la malattia è già iniziata oppure no, ma ci vorranno ancora ulteriori approfondimenti prima di arrivarci. Intanto sappiamo che alcuni sintomi precoci possono essere segnali indicativi, come la depressione, la stipsi, la riduzione dell’olfatto, alcuni disturbi del sonno».
Si può comunque dire che il rischio è legato al sesso (si manifesta di più negli uomini) e all’età: nella maggior parte dei casi si sviluppa dai 60 ai 70 anni, anche se per il 10.15 per cento si verifica prima dei 50, e più raramente prima dei 40 anni. «Anche la familiarità gioca un ruolo, ma lo sviluppo della malattia è frutto di un’interazione complessa fra fattori ambientali e genetici in parte ancora poco nota». Quando i sintomi si manifestano, lentezza del movimento in primo luogo, è consigliato eseguire una Tac o una risonanza del cervello per escludere forme secondarie dovute ad altre cause. In seguito, viene iniziata una terapia e la risposta positiva è considerata un vero e proprio supporto alla diagnosi di Parkinson. In caso di dubbi si può ricorrere al Datscan, una scintigrafia cerebrale che, visualizzando la presenza di dopamina, è in grado di stabilire se ci troviamo di fronte al Parkinson o ad altre patologie. In futuro potrebbero essere disponibili esami più semplici.

Ma che cos’è esattamente la malattia di Parkinson, seconda tra le patologie neurodegenerative dopo l’Alzheimer? Innanzitutto si chiama così dal nome del suo scopritore, James Parkinson, medico inglese che quasi 200 anni fa (nel 1817), osservando pazienti affetti da tremore, definì la sindrome “paralisi agitante”. Il termine “malattia di Parkinson” venne utilizzato ufficialmente a partire dal 1877 e molto più tardi, nel 2000, lo scienziato svedese Arvid Carlsson vinse il premio Nobel per aver individuato nell’amminoacido levodopa la cura dei sintomi.

Come abbiamo detto non si conosce ancora la causa di questa patologia: di sicuro si sa che è dovuta principalmente alla degenerazione di una piccola zona cerebrale chiamata substantia nigra o sostanza nera, dove sono contenuti i neuroni che producono la dopamina, neurotrasmettitore chimico fondamentale per la corretta esecuzione del movimento. Quando la produzione della dopamina si riduce, si manifestano i sintomi tipici: il tremore, la rigidità e la bradicinesia (lentezza del movimento).

I farmaci dopaminergici (levodopa, dopamina-agonisti) si sono rivelati molto efficaci per far mantenere ai malati una buona qualità di vita per 7-10 anni, mentre nella fase avanzata, al momento, si deve ricorrere a terapie con un certo grado di invasività. In particolare, sono stati individuati tre momenti della patologia: la fase preclinica, quando il processo neurodegnerativo è già iniziato in assenza di sintomi o segni evidenti; la fase prodromica, con presenza di segni e sintomi ma ancora insufficienti per una diagnosi certa, e la fase clinica, quando viene fatta la diagnosi di Parkinson.

Lo stadio avanzato della malattia è caratterizzato da fluttuazioni motorie fino ai fenomeni on-off, ovvero blocchi motori e movimenti involontari; quando questo quadro clinico provoca una disabilità significativa si può intervenire con le terapie infusionali o per via chirurgica: «Le prime possono essere di tipo sottocutaneo, somministrando il farmaco dopamino-agonista apomorfina con un apparecchio programmabile», spiega il professor Lopiano. «Questa operazione viene eseguita per 10-12 ore al giorno con velocità e dose stabilite dal neurologo e di solito si ottiene un miglioramento dei blocchi motori. La terapia infusionale intestinale avviene invece tramite Peg: si inserisce un catetere che va direttamente nel duodeno collegato all’esterno con un dispositivo contenente la duodopa, una formulazione gelificata di levodopa che assicura un assorbimento regolare del farmaco durante la giornata. Questo porta a un miglioramento significativo delle fluttuazioni e dei movimenti involontari». La terapia chirurgica è un intervento abbastanza sofisticato che consiste nell’impianto nel cervello di due piccoli elettrodi che vengono collegati attraverso un cavo posto sottopelle a uno stimolatore posizionato nella regione pettorale. «Si tratta di un vero e proprio pacemaker che viene attivato dall’esterno dal neurochirurgo. In questo modo i circuiti nervosi alterati possono funzionare, migliorando così la qualità di vita del malato».

UN TREMORE ESSENZIALE

Parkinson e tremore essenziale sono due malattie diverse. La prima è caratterizzata da un tremore a riposo, che compare quando i muscoli sono rilassati e che soprattutto nei primi tempi è asimmetrico, in quanto coinvolge solo un lato del corpo, una mano o un piede a sinistra o a destra. Il tremore essenziale, invece, è posturale-intenzionale, compare cioè durante l’esecuzione di alcuni movimenti, e spesso fin dall’esordio riguarda entrambe le mani e la testa. Inoltre nel tremore essenziale non è presente la bradicinesia, uno dei sintomi cardini della malattia di Parkinson. A volte la condizione clinica non è così schematica e quindi può essere difficile distinguere le due patologie. In tal caso si può ricorrere al Datscan.