La rivastigmina migliora il cammino dei parkinsoniani (da Parkinson.it del 23/01/2016)

I risultati dello studio ReSPonD

La variabilità del passo è un fattore di rischio per cadute e si pensa che un deficit del neurotrasmettitore acetilcolina contribuisca al problema. La rivastigmina è un farmaco che rallenta la degradazione della acetilcolina, aumentandone i livelli nel cervello

Ricercatori inglesi ed australiani hanno effettuato un studio di confronto tra la rivastigmina ed un placebo (capsule dall’aspetto identico senza il principio attivo) in 130 pazienti parkinsoniani assegnati casualmente ad uno dei due trattamenti (“randomizzati”) in condizioni di doppia cecità (né i ricercatori, né i pazienti sapevano chi era stato assegnato a che cosa). I pazienti erano caduti almeno una volta nell’ultimo anno, erano in grado di camminare per 18 metri senza ausili e non avevano mai assunto rivastigmina prima. Il farmaco è stato somministrato a dosi crescenti da 3 fino a 12 mg al giorno nell’arco di 12 settimane.

Il parametro principale misurato era la variabilità del passo a 32 settimane. Veniva misurato nel corso di una breve camminata per 18 metri in condizioni normali, mentre il paziente eseguiva un compito verbale semplice (dire parole che iniziavano per una certa lettera) o complesso (es. dire parole che alternativamente iniziavano con la lettera A e B). Dopo 32 settimane la variabilità del passo è migliorata significativamente durante il cammino normale ed il cammino + l’ esercizio semplice con la rivastigmina rispetto al placebo. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, il 31% dei pazienti nel gruppo rivastigmina ha avuto nausea rispetto al 5% nel gruppo placebo, mentre i tassi di vomito erano rispettivamente del 17% rispetto al 5%.

Gli autori concludono che la rivastigmina potrebbe migliorare la stabilità del cammino dei parkinsoniani e ridurre il rischio di cadute. Progettano di effettuare uno studio più ampio per dimostrarlo.

La rivastigmina è già in commercio. E’ approvata per la terapia della demenza nella malattia di Alzheimer e nella malattia di Parkinson.

Fonte:Henderson EJ e coll Lancet Neurol online 12 gennaio 2016

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